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Vaping: la storia italiana e l’effetto fisarmonica della politica

Vaping: la storia italiana e l’effetto fisarmonica della politica

28 December 2018

 Il settore del Vaping in Italia, saluta il 2018 con una importante vittoria sul piano fiscale: la riduzione delle accise nella misura del 95% per i liquidi senza nicotina e del 90% per quelli contenenti nicotina permette agli operatori di guardare al futuro con maggiore ottimismo. Ad essa, si va ad aggiungere un’altra lieta notizia: pochi giorni fa infatti, è stata presentata la prima ricerca italiana sul settore della sigaretta elettronica da parte di Eurispes: “Verso la riduzione del danno. Il mondo del vaping alla luce della nuova regolamentazione fiscale”. Tra i finanziatori della ricerca, assieme alle associazioni UNIecig e COIV, c’è anche Vapitaly, in quanto punto di aggregazione ed attento osservatore del mercato e degli attori principali: i consumatori.

 

Ma facendo qualche passo indietro, può essere utile analizzare la storia e le vicende che hanno visto protagonista la sigaretta elettronica in Italia. Un settore molto giovane (solo una decina d’anni fa aprivano i primi negozi) ma che, per gli eventi che lo hanno caratterizzato, può essere paragonato a settori industriali molto più longevi.

 

All’inizio del decennio, la sigaretta elettronica passa da curiosità esotica a presenza comunque rilevante nel nostro Paese. Nessuna regolamentazione e una vera e propria proliferazione di “negozi dello svapo”, fanno dei vaporizzatori personali dalle forme e dalle dimensioni più variegate, una presenza diffusa nelle tasche e nelle mani di molti italiani. Una diffusione che, oltre a nuovi e giovani imprenditori, ha attirato l’attenzione di preesistenti aziende del settore alimentare, che si lanciano sul mercato dei liquidi, mentre la miscelazione con nicotina attira il settore chimico/farmaceutico e, dal punto di vista fiscale, quello dei monopoli.

 

Con la crescita dei volumi di mercato sono proprio il settore chimico-farmaceutico e quello tradizionale del tabacco e dei tabaccai a rivendicare una sorta di paternità sull’area vaping e, certo, non per dinamiche affettive, ma di interesse. Anche i governi hanno colto la necessità di normare questo nuovo settore di consumo, all’unisono con l’opportunità di ricavarne risorse per la finanza pubblica.

 

Il 2013 è stato l’anno in cui sono stati ideati i provvedimenti fiscali che sarebbero dovuti entrare in vigore a gennaio 2014 e che il solo “parlarne” aveva generato una forte inversione nel trend: da maggio a giugno, infatti, chiudono ben 123 punti vendita, e ne aprono solo 2, mentre, nei primi 4 mesi dell’anno, le aperture sono state 370.

 

Nel mese di giugno, il Decreto legge n° 76 stabilisce una tassazione del 58,5% su tutto ciò che è attinente al vaping: device, componenti, cavi di collegamento, batterie, liquidi. Sommando queste percentuali all’Iva, lo Stato si assicura così un prelievo dell’80% sui consumi dell’area vaping.

 

Le proteste di piazza da parte di singoli operatori, non ancora organizzati in un coordinamento o in un sindacato, “vanno in onda” nell’estate 2013 davanti ai palazzi della politica, a Piazza Montecitorio, ma non modificano gli orientamenti del Governo. Più efficaci sono i ricorsi alla Magistratura amministrativa, con il Tar del Lazio che, nel 2014, avanza la questione di legittimità del provvedimento, e che, l’anno successivo – maggio 2015 – porta la Suprema Corte a dichiararlo incostituzionale sulla base di valutazioni del principio di discrezionalità anche in àmbito tributario.  Obbiettivo raggiunto, dunque, in chiave tecnica, anche se – come si vedrà dalle pronunce successive – la Corte non ha negato la legittimità del collegamento tra vaping, nicotina, tabacco e tassazione. Consapevole che la tassazione introdotta nel 2014 difficilmente avrebbe retto al vaglio della giustizia amministrativa, già per l’anno successivo, il 2015, il Governo trasforma la tassazione sull’e-cig in una imposta di consumo fissa da applicarsi solo ai liquidi delle ricariche, nella misura di 4,7 euro ogni 10 millilitri.

 

Lasciando da parte il complicato (e confuso) meccanismo di equivalenza con le sigarette tradizionali da cui si generava questo importo, è evidente che anche questa imposizione porta ad un raddoppio del prezzo medio di vendita, senza valutare la differente concentrazione di nicotina, oltre che l’assenza della stessa in molti liquidi in commercio: contraddizioni che hanno legittimato ulteriori ricorsi, sfociati nell’ordinanza del Tar del Lazio del luglio 2015 , la quale ne sospende l’applicazione per i liquidi senza nicotina, chiamando in campo ancora un volta (novembre 2015) la Corte Costituzionale.

 

Nel caos più totale passano i mesi, con il risultato che i 112 milioni di euro messi a bilancio dal Governo per il 2015, sono ridotti a 8, con esiti analoghi per il biennio successivo. La sentenza 240 del 15 novembre 2017 dà ragione al Governo, bocciando le questioni di legittimità sollevate dal Tar del Lazio. Secondo i giudici, finalità primaria del provvedimento «è data dal recupero di un’entrata erariale (l’accisa sui tabacchi lavorati) erosa dal mercato delle sigarette elettroniche», e «non contrasta con il principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione, anche nella parte in cui assoggetta i liquidi privi di nicotina alla medesima aliquota impositiva dei liquidi nicotinici». Ma la Consulta si spinge oltre, specificando che la tassazione «colpisce beni del tutto voluttuari, immessi in consumo dai fabbricanti e dai produttori, che per ciò stesso dimostrano una capacità contributiva adeguata, così come i consumatori finali sui quali viene traslata l’imposta.

D’altronde, al legislatore spetta un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale», mentre «la finalità secondaria di tutela della salute propria dell’imposta di consumo, che già di per sé giustifica l’imposizione sui prodotti nicotinici, legittima anche l’eventuale effetto di disincentivo, in nome del principio di precauzione, nei confronti di prodotti che potrebbero costituire un tramite verso il tabacco».

 

Forte di questa vittoria, il Governo, a fine 2017, attua un ulteriore giro di vite, vietando le vendite on line e istituendo l’obbligo per gli esercenti di essere autorizzati, previa comunicazione all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

 

Ma le scelte e i provvedimenti assunti alla fine della scorsa legislatura sono stati “ribaltati” dalle decisioni di queste settimane, e ciò ha configurato, per le politiche pubbliche nell’area del vaping, una sorta di “effetto fisarmonica”, che ora dilata, ora comprime i flussi, agendo sulla chiave della politica fiscale in termini assolutamente contraddittori.

 

Se si analizza in sequenza ciò che è avvenuto tra 2013 e 2018, e il ruolo interpretato dai diversi attori (Governo, giustizia amministrativa, Consulta, forze politiche), non si può che parlare di una “recita a soggetto”, per la quale l’improvvisazione la fa da padrona. Un’improvvisazione che tuttavia ha spaventato ma non scalfito l’animo dei consumatori e degli imprenditori del settore: anche nei momenti più duri infatti, tra il 2014 e il 2015, la domanda e l’offerta del settore hanno tenuto, e ciò ha portato al consolidamento degli operatori più seri e professionali, a discapito di chi vedeva nel vaping una “facile” fonte di guadagni e crescita.